La sentenza sull’annegamento di Marina di Pietrasanta genera dubbi
Il processo di primo grado sull’annegamento nella vasca dell’idromassaggio di una bambina di 12 anni avvenuto al bagno Texas di Marina di Pietrasanta il 14 luglio 2019 è giunto al termine e sono state comminate condanne e risarcimenti. Leggendo gli accadimenti dai giornali e le condanne non possiamo esimerci da un’analisi ed un riflessione.
Ma andiamo per gradi ripartendo dagli eventi:
Sofia, una dodicenne di Parma, è morta il 14 luglio 2019 ore 16 mentre si trovava in vacanza con la famiglia a Marina di Pietrasanta, in Toscana. La tragedia è avvenuta nella vasca idromassaggio del bagno Texas, uno stabilimento balneare della zona.
Sebbene si debba ricordare che nelle vasche di idromassaggio non è prevista la sorveglianza dell’assistente bagnanti in questo stabilimento la vasca dell’idromassaggio è inserita nell’ambiente recintato delle piscina per cui si presume che la responsabilità dell’assistente bagnanti sia stata estesa, de facto, anche a quella struttura.
Secondo le ricostruzioni, Sofia si trovava nella vasca dell’idromassaggio con altri bambini e persone quando il bocchettone posto a pochi cm dal fondo della vasca l’ha trattenuta per i capelli. Quando è scattato il soccorso, la giovane era rimasta sott’acqua per un tempo troppo prolungato, riportando danni cerebrali irreversibili. È stata trasportata d’urgenza all’ospedale, ma purtroppo è deceduta poco dopo.
Le indagini hanno rivelato gravi carenze nella gestione della sicurezza della piscina. In particolare, è emerso che il sistema di aspirazione non era dotato di un dispositivo di sicurezza che avrebbe potuto prevenire l’incidente.
Il processo ha visto sette imputati, tra cui i gestori dello stabilimento, i lifeguards ed i responsabili della manutenzione della piscina, accusati di omicidio colposo.
Uno degli aspetti più critici di questo caso è la presunta negligenza nella gestione della piscina. Secondo le indagini, ci sarebbero state carenze nei controlli di sicurezza e nella sorveglianza, elementi fondamentali per prevenire incidenti di questo tipo. La requisitoria del pubblico ministero ha evidenziato come queste mancanze abbiano contribuito in modo determinante alla tragedia.
Inoltre, il processo ha messo in luce la necessità di una maggiore formazione e preparazione del personale addetto alla sicurezza nelle piscine. Il medico che ha tentato di rianimare Sofia ha descritto la difficoltà e l’urgenza della situazione, sottolineando l’importanza di avere personale adeguatamente formato per intervenire prontamente in caso di emergenza.
Il 12 dicembre 2024, il Tribunale di Lucca è giunto a verdetto condannando per omicidio colposo aggravato dalla violazione del testo unico sulla sicurezza sui luoghi di lavoro a con pene di 3 anni e 2 mesi di reclusione i titolari dello stabilimento insieme ai rispettivi coniugi.
Dobbiamo, innanzitutto, precisare che abbiamo letto la vicenda dai giornali non avendo a disposizione tutti i materiali dell’indagine e quindi facciamo affidamento alla capacità dei giornalisti di essere rimasti aderenti agli argomenti del dibattimento.
La ricostruzione letta sui giornali indicati ai vari link in questo articolo parla della presenza di altre persone nell’idromassaggio al momento della tragedia ma non ci è modo di capire quale sia stato il loro comportamento durante la permanenza della bambina in acqua e al momento della tragedia. E’ possibile che l’evento tragico sia stato così fulmineo che nessuno abbiamo modo di intervenire tempestivamente?
Nella sentenza viene fatto un riferimento alla scarsità delle dotazioni per il soccorso in piscina ma la normativa regionale sulla sicurezza in piscina è molto limitata al riguardo (prevede il salvagente anulare e dotazioni sanitarie standard) ma in questo caso forse soltanto un paio di forbici avrebbe potuto risolvere la situazione permettendo al soccorritore di tagliare i capelli liberando così la povera vittima. A precisazione è opportuno ricordare che un paio di forbici mediche è contenuto ne kit sanitario ma che solitamente non è custodito alla postazione del salvataggio ma in infermeria o in direzione.
Un punto cruciale della sentenza e di primaria importanza per tutto il settore del Salvataggio è il punto riguardante il “tutoraggio“. Tant’è che il lifeguard più esperto ( che si trovava al momento dell’incidente in spiaggia ma che si sarebbe potuto trovare a casa) è stato punito con una pena più severa rispetto al lifeguard che aveva il compito di sorvegliare la piscina e che ha curato i primi momento dell’intervento, che invece viene assolto dal Giudice. Tutto questo perché, leggiamo negli articoli, il lifeguard senior aveva sottoscritto un contratto di TUTORAGGIO su richiesta di uno dei collaboratori dei proprietari dello stabilimento balneare. La figura del TUTOR, a quanto ne sappiamo, non esiste nel mondo del salvataggio e oltretutto il lifeguard in piscina era maggiorenne (e ovviamente brevettato) al momento dell’accaduto. Inoltre il lifeguard esperto era addetto alla sicurezza balneare del mare e non aveva mai prestato servizio in piscina. Questo ribaltamento delle posizioni di colpa rappresenta una vera rivoluzione ed è destinata a produrre effetti che non è facile immaginare.
E’ oltretutto singolare il fatto che i giornali puntualizzino il fatto che il bagnino in piscina era in servizio da “soli 20 giorni” come se esistessero delle attenuanti per un bagnino che è in servizio da un tempo ritenuto “esiguo”. E’ un approccio alla materia del salvataggio che lascia tantomeno perplessi.
Ma quale era la posizione del bagnino della piscina durante l’incidente? Considerando che l’incidente si è svolto intorno alle ore 16 è presumibile che, per evitare i raggi del sole diretti negli occhi, il bagnino della piscina si fosse collocato sul lato ovest della vasca su cui aveva l’obbligo di sorveglianza (ovvero la piscina). Facendo così, si sarebbe trovato con le spalle all’idromassaggio ma sicuramente in una posizione di prossimità che gli avrebbe consentito un intervento pronto e rapido. E’ stato così?
Perché i bambini si trovavano da soli nell’idromassaggio e non sotto la supervisione di un adulto, un parente od un tutore?
Non leggiamo riferimenti alla cartellonistica e al confinamento dell’area per cui possiamo ipotizzare delle manchevolezze su questo fronte.
Per accedere alla vasche vi era un cancello o no? Vi era una cartellonistica che avvertiva della tipologia di sorveglianza e di comportamenti da tenere (o non tenere) nelle vasche?
La Capitaneria di Porto ha svolto un ruolo nelle indagini? In alcune foto sui giornali abbiamo visto la presenza dei militari intorno alla vasche dell’incidente ma la sicurezza nelle piscine degli stabilimenti è competenza della Guardia Costiera?