L’assistente bagnanti ed i protocolli anti-COVID in spiaggia e piscina

ne parliamo con il lifeguard Davide Gaeta

Ci siamo, l’estate è qua.
E’ l’estate 2020 ed per gli annali verrà ricordata come l’estate del COVID ma siamo assistenti bagnanti e ci dobbiamo adattare.
Il settore è stato iper regolamentato nelle ultime due settimane ricevendo i regolamenti/direttive di vari organi statali.
Proviamo a fare chiarezza con il nostro amico il lifeguard Davide Gaeta.
Quali sono le misure di tutela che il lifeguard può adottare dalla sua postazione?
Ordinariamente, una postazione professionale non dovrebbe essere un semplice ombrellone bensì una torretta sopraelevata, collocazione che permette di avere maggiore visibilità durante lo scanning e di rendersi a sua volta visibile da parte di bagnanti e colleghi. Una postazione del genere garantisce già il distanziamento utile, considerando in primis che è ad uso esclusivo dell’operatore e considerando che dovrebbe essere distaccata rispetto all’utenza; corretta procedura può essere sanificarla nel caso del “cambio-guardia”.
E per quanto riguarda il pattugliamento?
La sorveglianza non si effettua esclusivamente dalla postazione ma può essere anche dinamica, passeggiando sulla battigia o navigando sul pattino di salvataggio (o sul SUP). In queste fasi, se l’affluenza lo rende necessario, il lifeguard può indossare la mascherina, avendo maggiore possibilità di contatto interpersonale.
Bisogna indossare la mascherina durante il salvataggio in acqua?
Ovviamente NO, sarebbe una cosa assurda. Chi afferma una cosa del genere pensando che tanto “si nuota testa alta e quindi non si bagna” non ha idea di cosa sia il nostro mestiere. Ma chiariamoci, è un impedimento anche durante la parte di corsa a secco che precede la parte in acqua di un’azione di salvataggio.
Potrebbero essere utili maschere granfacciale, tipo la EasyBreath di Decathlon?
Queste maschere ricreative nascono per fare snorkeling in acqua piatta. Noi facciamo interventi nell’area dei frangenti e pensare di lavorare in breakerzone con quell’ingombro sul volto vuol dire non aver mai fatto attività in mare formato. La limitazione non è tanto l’impossibilità di fare un recupero subacqueo (in mare, sul fondo non si soccorrono persone, si recuperano cadaveri, compito che oltretutto spetta ad altre figure professionali) bensì la criticità di lavorare in un ambiente impervio che necessita attrezzatura professionale specifica.
Allora una maschera tradizionale con tubo areatore?
Il concetto da cui partire è quello di differire da un soccorritore acquatico tecnico (Guardia Costiera, Vigili del Fuoco, Croce Rossa, ecc) che lavora di base con una vestizione completa, sempre equipaggiato con maschera e snorkel ed abituato all’utilizzo; il lifeguard, soccorritore di prossimità, lavora in genere con un assetto minimal ed interviene nel sottocosta, generalmente a pochi metri di distanza dalla battigia, un’area specifica che differisce dal mare aperto.
Il connubio maschera-snorkel (parlando di modelli professionali, adatti al soccorso) permette un assetto più basso e confortevole durante la nuotata, agevola la respirazione, e per quanto concerne questa esigenza permette una sorta di schermatura dai droplets del pericolante.
Nel caso del lifeguard, gli svantaggi potrebbero essere la vestizione rapida richiesta dall’azione di salvataggio, la limitazione del campo visivo e della comunicazione, ma soprattutto allo stato attuale la mancanza di educazione all’utilizzo di queste dotazioni, che per quanto possano apparire superficiali, in contesti operativi sono strumenti che bisogna saper ben utilizzare, con i quali aver acquisito completa confidenza.
Quali possono essere le indicazioni per il trasporto del pericolante?
Per il discorso “prese” c’è poco da ragionare, in primo luogo perché sono fondamentalmente teoria dei corsi difficilmente applicabile nella realtà, e in secondo luogo perché noi non interveniamo a “mani nude”. Già l’utilizzo di attrezzature tradizionali (rescue can, rescue tube) riducono il contatto diretto. Personalmente credo che si riconfermi anche in questa occasione la rescue board; oltre alle peculiarità tecniche che già conosciamo, per quanto riguarda il distanziamento, c’è da considerare che nella fase di rientro le vie aeree del pericolante si trovano verso il nose, mentre il soccorritore opera dal tail.
E per quanto riguarda un salvataggio in piscina?
Dal punto di vista tecnico, è risaputo che gli annegamenti in piscina avvengono per il fatto che nessuno dei presenti si rende conto in tempo dell’emergenza in corso. La salvaguardia delle persone è basata essenzialmente su prevenzione e sorveglianza; qualora identificata una necessità di intervento in acqua, il recupero del pericolante consiste in un’azione breve e semplice: uno “scoop and run” così rapido che avrebbe poco senso indossare altro se non il proprio rescuetube.
Hanno fatto tanto scalpore gli articoli in cui si parla del “non poter fare la respirazione bocca a bocca”, cosa ne pensi?
Già prima di questa emergenza era inconcepibile che un soccorritore professionale praticasse una ventilazione bocca-bocca (poco igienica e scarsamente efficace soprattutto nella fisiopatologia tipica degli incidenti acquatici). Da tempo le ordinanze di sicurezza balneare delle Capitanerie di Porto prevedono pallone autoespandibile, bombole di ossigeno ed altri presidi tra le dotazioni obbligatorie per gli stabilimenti balneari e i lifeguard seguono dei protocolli BLS specifici, diversi da quelli di un soccorritore occasionale.
In ogni caso, resta sempre da far comprendere che il nostro mestiere non consiste nel fare rianimazione cardiopolmonare tutti i giorni, bensì l’attività prevalente è la sorveglianza ed occasionalmente l’intervento tecnico in acqua, cose alle quali non si è fatto minimamente riferimento nell’ormai noto documento INAIL pubblicato il 12 Maggio.
Quali sono quindi le precauzioni da prendere durante il primo soccorso?
Indossare mascherina (FFP2 o FFP3), guanti monouso e far indossare al paziente una mascherina chirurgica. Questi DPI vanno indossati soltanto durante l’intervento, sarebbe impensabile tenerli durante l’intero servizio. Ci sono eventualmente anche altri dispositivi integrativi per ridurre ulteriormente il rischio da aerosol ma vorrei premettere che stiamo parlando già in partenza di probabilità di rischio bassissime.
Tra i “nuovi compiti” ci sarà quello di garantire che l’utenza rispetti le misure di contenimento?
Si è parlato molto di come la nostra figura, durante questa stagione balneare, dovrà essere di supporto allo staff dello stabilimento nel garantire che vengano rispettate da parte dell’utenza quelle che sono le indicazioni atte a garantire le misure di contenimento (utilizzo dei “corridoi”, mascherina sul viso quando previsto, distanziamento sociale, ecc…).
Quello che dico è che sicuramente lo staff di uno stabilimento balneare deve essere un’unico team che lavora in sinergia ma allo stesso tempo ribadisco che il lavoro del lifeguard è fare prevenzione, sorveglianza ed intervento per la salvaguardia della vita umana in acqua.
Come ritengo da tempo incompatibili mansioni come pulizia, manovalanza et similia contestualmente all’attività professionale, lo stesso vale anche per mansioni di questo tipo che potrebbero diventare momento di carico mentale e distrazione da quello che è il compito primario. Sarebbe bene allora adibire altro personale dello staff a questo aspetto, cosa inequivocabilmente indigesta viste le difficili condizioni in cui riversa il mondo impresario balneare quest’anno.
Questi mesi fermi, senza la possibilità di allenarsi, possono gravare sulla performance del lifeguard?
Innanzitutto, per chi non avesse avuto modo di fare mantenimento in casa durante questo periodo di lockdown, consiglio in questi giorni di seguire un percorso di ripresa dell’allenamento cardiovascolare a secco, graduale e progressivo, in modo da arrivare con una discreta preparazione all’eventuale intervento in acqua che la stagione balneare ci riserverà (ricordo che ci sono stati negli anni casi di soccorritori che hanno avuto malori durante un’azione di salvataggio).
E per quanto riguarda l’allenamento in acqua?
Con la riapertura delle piscine, nel limite della densità di affollamento, spero ci sia una precedenza oltre che per gli atleti professionisti anche per i soccorritori acquatici; allenarsi in mare, nel rispetto delle norme, può in ogni caso essere una valida alternativa. A prescindere da questa situazione, sarebbe sempre buona prassi durante la stagione balneare concordare delle ore per poter allenarsi in acqua e mantenere l’efficienza fisica durante la stagione stessa.
Come allenare il salvamento evitando il contatto interumano?
Il mondo del soccorso tecnico in generale, all’interno delle simulazioni operative, sta sostituendo i figuranti con i manichini da addestramento. Lo stesso può valere per il salvamento, dove il contesto attuale può diventare ulteriore incentivo all’impiego di manichini ad hoc da parte delle squadre di soccorso, modo migliore per scongiurare ogni possibilità di contagio durante le attività formative.

La Mascherina di protezione n cotone ipoallergenico e interno in TNT