La nuotatrice sviene, l’allenatrice si butta … e il bagnino?

La notizia è diventata virale in un attimo. La nuotatrice USA Anita Alvarez, star mondiale del nuoto sincronizzato, sviene durante un’allenamento in preparazione dei mondiali di Budapest. Il suo corpo privo di coscienza precipita a toccare il fondo della vasca. Interviene l’allenatrice Andrea Fuentes che la raggiunge e la porta in superficie. In un secondo momento interviene anche un assistente bagnanti e, a bordo vasca, i paramedici. Alvarez viene portata in ospedale, sta bene.

La notizia diventa rapidamente virale grazie alla forza delle immagini: il corpo dell’allenatrice proteso verso Alvarez per salvarla.

E’ un evento che lascia anche un messaggio importante: anche i professionisti possono avere dei problemi in acqua, non soltanto principianti e rimarca l’importanza della presenza del lifeguards a bordo vasca. Si chiude simbolicamente il cerchio con il meme del 2016 che ironizzava sull’utilità dei bagnini alle olimpiadi di nuoto (ne parlammo qua).

Una vicenda che innesca anche delle polemiche: perché interviene l’allenatrice e non il bagnino? La stessa allenatrice Fuentes dichiaraHo visto Anita che affondava e ho urlato ai bagnini che però erano sbigottiti e paralizzati. Allora mi sono immediatamente gettata in acqua per soccorrerla.” In un’altra intervista ha dichiarato di aver parlato al lifeguard entrato in acqua per aiutarla ma non la capiva.

Tenendo conto di tutto questo ed aggiungendo un ulteriore elemento ovvero che episodi del genere non sono nuovi nel nuoto sincronizzato dove si fa un grande utilizzo di apnea proviamo ad analizzare quanto avvenuto e farne tesoro:

  • LO SCENARIO: lo scenario è qualcosa di completamente diverso da quanto è abituato un assistente bagnanti. Le attività si svolgono principalmente sotto la superficie, non al filo. Le apnee sono lunghe, le posizioni richieste dalle esibizioni sono difficilmente decifrabili. L’allenatore ha i parametri, la conoscenza, per capire quando l’atleta è veramente in difficoltà.
  • IL COORDINAMENTO: quanto detto sopra avrebbe richiesto personale adeguatamente preparato e un coordinamento più efficiente con l’allenatore. Quindi i bagnini non avrebbero dovuto trovarsi distanti dall’allenatore ma a breve distanza in modo da poter capire subito ed intervenire.
  • LA COMUNICAZIONE: i lifeguards in assistenza non hanno una buona conoscenza della lingua inglese come dichiarato dall’allenatrice quindi non hanno repentinamente capito le richieste di aiuto. E ricordiamo che una cosa è ordinare una pizza in calma e tranquillità al ristorante, un’altra è capire e rispondere a richieste e ordini urlati in modo concitato.

Forse andrebbe ripensato l’intero sistema di soccorso magari posizionando dei soccorritori subacquei già in acqua che possano monitorare ed intervenire immediatamente sul modello di quanto fanno, ad esempio, i marines durante le loro selezioni e training.

Ah dimenticavamo: il nuoto sincronizzato è uno sport durissimo, che richiede grande sacrificio … ma che spettacolo incredibile!